La disincantata maturità artistica di Augusto Forin
Il nome di Augusto Forin è noto agli appassionati di canzone d’autore.
Genovese di Sori, nato nel 1956, e con un passato da odontotecnico, Forin inizia la sua carriera musicale in ambito jazz. Prima, a cavallo degli anni ’70 e ’80, con il quartetto jazz-rock dei Cripta, poi fondando insieme a Marco Carbone il gruppo Jazz Insieme e infine entrando nel Louisiana Jazz Club di Genova. Ma Forin è spirito libero e artisticamente versatile e poliedrico e così suona in diverse orchestre da ballo prima di dar vita, insieme Marco Spiccio, Federico Sirianni e Fabrizio Casalino, alla Giostra dei Pazzi.
Con Max Manfredi crea Le Ristampe di Tex e propone un repertorio con venature tex-mex.
Forin è però anche autore pregevole e le sue composizioni lo portano ad essere tra i protagonisti di numerose rassegne e nel 2007 è finalista al Premio Bindi.
Il grande passo lo compie a inizio 2012 con la pubblicazione di “Aspirina Metafisica”, il primo album di Augusto Forin. Una manciata di canzoni che esaltano la fluidità della scrittura di questo artista che trae insegnamento dai maestri della scuola genovese (Max Manfredi duetta in “Sbagliare d’autobus”) e che lascia trasparire quell’amore per il jazz che non è mai sfiorito.
Abbiamo incontrato Augusto in occasione del recente spettacolo de Le Ristampe di Tex. Siamo rimasti in contatto e l’intervista che segue è il frutto di una piacevole chiacchierata.
Il cd Aspirina Metafisica può essere acquistato presso la Libreria Capurro di Recco o L’ometto giallo a Sori o richiedendolo a info@giandeibrughi.it o telefonando al 3474418496
A 53 anni hai pubblicato il tuo primo album. Quando uscirà il secondo capitolo?
«Un secondo e anche un terzo capitolo sono già in cantiere da tempo. Quello che mi scoraggia è la grave crisi che sta colpendo l’industria discografica. La musica si vende a fatica e ancora più fatica si fa con quella di autori poco noti come me. Si riesce a vendere qualche cd dopo un concerto live, sull’onda dell’emozione che si crea. Ma qui nasce un altro problema che è quello della difficoltà nel trovare situazioni che accolgano proposte originali».
Cosa ci puoi anticipare del tuo prossimo lavoro?
«Dopo l’aspirina metafisica per curare l’anima potrebbe servire una bel balsamo apotropaico per le contusioni della vita o un collirio surrealista per una visione più chiara del mondo».
Ho sentito che stai lavorando anche a un progetto che riguarda le Società Operaie di Mutuo Soccorso. Cosa ci puoi dire a riguardo?
«Si tratta di un lavoro musical-teatrale sulla mutualità e la storia delle Società Operaie di Mutuo Soccorso. L’idea di partenza è di Ivano Malcotti, poeta e scrittore geniale. Lui ha immaginato un dialogo semiserio tra due avventori di una SOMS. Questi si mettono a discutere sulle società operaie e così facendo ne ripercorrono la storia: come sono nate, come si sono organizzate, come si sono evolute. Con la regia della mia compagna Patrizia è nata una pièce teatrale; io ho scritto la musica e sono nate anche una decina di canzoni originali che si alternano ai dialoghi».
Resto sul discorso del lavoro per chiederti se gli operai e i movimenti di protesta in Italia esistono ancora?
«No, purtroppo, siamo tornati indietro: alla schiavitù! Non abbiamo le catene alle caviglie ma la nostra libertà è condizionata.Viviamo in una società che ci fa credere che il benessere stia nel superfluo: un’automobile superaccessoriata, l’ultimo telefonino, un lavoro facile dal guadagno altrettanto facile, etc. Per ottenere queste cose accettiamo uno stile di vita contro natura e dimentichiamo i veri valori».
Cosa ti ha dato “Aspirina Metafisica”?
«Alcune soddisfazioni, qualche problema, qualche debito… Sicuramente la buona accoglienza che ha ricevuto mi ha dato un po’ di fiducia in più nelle cose che faccio».
Che cosa vorresti che la gente sentisse nella tua musica?
«Cosa vorrei non lo so ma mi piace quando qualcuno mi racconta cosa ci ha sentito. Molto spesso mi fanno notare delle cose che neppure sospettavo di averci messo: ‹In quella canzone quando dici… è chiaro che intendevi…›. Naturalmente quando ho scritto quella frase pensavo a tutt’altro. Questo è il bello!».
Intanto, insieme ad amici come Davide Baglietto, Jacopo Marchisio, Sandro Signorile, stai portando in giro nelle piazze e nei teatri lo spettacolo “Le ristampe di Tex e il liquore di Mefisto”, con ottimi riscontri. Come è nata questa idea?
«Le Ristampe di Tex sono nate un bel po’ di anni fa. Il nome l’ho ideato io e la prima formazione vedeva insieme a me Sandro Signorile, Max Manfredi, Marco Spiccio e Nino Andorno. Abbiamo fatto qualche serata ma poi la cosa è morta lì. L’anno scorso riparlandone con Sandro ci siamo detti: ma perché non rispolveriamo le Ristampe? Detto fatto. C’era l’occasione di presentare una canzone originale in genovese per musicare un video sulle ceramiche di Albissola: per questo progetto abbiamo coinvolto l’amico Marco Cambri. Quasi di getto è nata “Motto de tera” e l’abbiamo presentata come Ristampe di Tex. La canzone è piaciuta ed è diventata la colonna sonora di quel video. Così sono rinate le Ristampe e dopo qualche rimpasto siamo arrivati alla formazione attuale. Ma ti sei dimenticato di citare Dario Camuffo, bravo cantante e Patrizia Litolatta Biaghetti che è la “donna medicina” nello spettacolo, la nostra regista e insieme a Sandro autrice dei testi».
Sostieni di non sentirti un cantautore, eppure le tue canzoni ti collocano in questa categoria…
«Chiaro che quando uno le canzoni se le scrive e se le canta è un cantautore. Ma è anche vero che io non mi riconosco nella categoria perché mi sta stretta. Mi piace scrivere musica; se ci metto le parole diventano canzoni ma la mia produzione è soprattutto musicale. Ecco sono uno dei pochi casi che può rispondere a quella stupida domanda se nasce prima la musica o le parole. Io parto quasi sempre da un motivo musicale. Questo perché le mie prime composizioni le ho realizzate per un gruppo di jazz progressive, il Quartetto Cripta; sto parlando di 35 anni fa! Il Quartetto Cripta esiste ancora e io continuo a comporre e a suonare il basso con loro».
Qualcuno dice che per essere artisti si deve essere, almeno in parte, pazzi. Tu lo sei?
«Se essere pazzi vuol dire non essere conformisti, non accettare prodotti confezionati e premasticati, non perdere la curiosità, non nascondere i propri sentimenti, lottare per quello che si crede giusto e non aver paura di confrontarsi: allora lo sono».
Ti piace la musica di oggi?
«Esiste una musica che ti cattura: non so se sia di oggi o di ieri. Ti confesso che non sono molto aggiornato sulle novità discografiche. Troppo spesso quello che viene spacciata come musica di oggi è un triste deja ecouté. Ascolto molto la radio, ma la mia è sintonizzata solo su Radio3 e mi trovo a mio agio ascoltando dalla lirica alla sperimentale. Hai mai seguito “Battiti” dopo la mezzanotte? A volte trasmette della roba che se sei in macchina e stai guidando puoi vivere la netta sensazione che si sia rotto qualcosa nel motore… Beh, se quella è la musica di oggi a me piace!».
I liguri sono conosciuti per la loro riservatezza, per la capacità di tenere le emozioni per sé come si trattasse di oggetti preziosi. Eppure la Liguria è terra di grandi cantautori, come è possibile?
«Il carattere dei liguri è sicuramente un carattere chiuso. Le emozioni le tengono dentro, le conservano come cose preziose. Poi, come fossero ingredienti per una ricetta le elaborano e le ricombinano per riproporle. Lo stesso procedimento che caratterizza la cucina ligure. Tutti i piatti qui sono confezionati per sfruttare al massimo le risorse ma anche per durare affinché il marinaio potesse nutrirsi nelle lunghe lontananze da terra. A questo aggiungi, per insaporire, la caratteristica disincantata di tutti i liguri, quell’ironia che diventa un’arma tagliente. Ecco questo credo sia il segreto della “scuola genovese”: elaborare, combinare, conservare, ironizzare».
Scrivere canzoni e un intero album a cinquant’anni è più semplice o più complicato rispetto a quando si è giovani?
«Più difficile perché devi fare i conti con il disincanto che accompagna l’età matura. Insomma a vent’anni sei sicuro di poter cambiare il mondo a cinquanta sai per certo che non ci riuscirai. Comunque ci provi lo stesso e, tornando alla domanda di prima, forse la vera pazzia sta in questo».
Per il tuo primo disco hai creato una confezione extra lusso, pensi che in questo modo l’oggetto disco sia più ambito e ricercato?
«In realtà non era una confezione extra lusso. La mia idea era quella di replicare la magia di una bella copertina 31×31 tipica dei vinili. Metà dei dischi che possiedo li ho acquistati solo perché mi piaceva la copertina, spesso neppure conoscevo l’artista o il gruppo che stavo comprando. In quel modo mi sono imbattuto in meravigliose scoperte come gli Yes, King Crimson, Gentle Giant e altri. Ascoltavo la musica con lo sguardo immerso in quelle opera d’arte. Colpa del formato dei cd, quel misero librettino 12×12 ha smesso di farmi sognare».
Lo farai anche per il prossimo?
«Ho pensato a una bella stampa 40×60 con una cornice in radica ma l’idea mi è stata sconsigliata. Ripiegherò su una classica confezione in legno, tipo cassetta per il vino o in metallo tipo litolatta molto più pratica».
Titolo: Aspirina Metafisica
Artista: Augusto Forin
Etichetta: Gutenberg Music/Primigenia
Anno di pubblicazione: 2012